
La coppia italiana, dopo l’attentato del 22 marzo, ha
trovato respiro grazie al viaggio già in programma dagli affetti più cari.
Cristina, che ha i genitori e il fratello con la sua famiglia a Cairo, ha lavorato
all’e-commerce di un noto marchio di lusso fino a fine a dicembre, quando ha deciso
di prendere una pausa per dedicarsi ai bambini. Marco, lombardo, lavora come
interprete per le istituzioni europee.
Ed è proprio lei a raccontare della tragica esperienza
vissuta pochi giorni fa: “Il 22 marzo ci siamo alzati tutti presto: i bambini
avevano deciso di svegliarsi all’alba. Ci siamo preparati come tutte le mattine
e io li ho accompagnati a scuola in anticipo. Anche Marco è quindi partito
prima del solito per andare al lavoro con la metropolitana. Tornando indietro ho
letto sul telefono la notizia delle esplosioni in aeroporto e, appena a casa, ho
iniziato a seguire le edizioni speciali dei vari telegiornali, dove si parlava
di generiche esplosioni e non di attentati, ma le immagini mi lasciavano molti
dubbi”. Prosegue Cristina: “Poco dopo il telefono ha iniziato a squillare:
parenti e amici dall’Italia volevano avere maggiori notizie e ho cercato di
rassicurarli basandomi sulle informazioni della televisione belga. Passati
pochi minuti, però, ho sentito una giornalista che annunciava un’altra
esplosione, forse due, nella metro in corrispondenza della stazione Maelbeek, dove
scende spesso mio marito. Di solito, siccome le riunioni iniziano alle 10, lui si
trova lì proprio verso le 9,10/09,15. Con il cuore in gola l’ho chiamato ma non
mi rispondeva. Sono stati attimi di vera paura e disperazione. Alla fine ha
risposto e ho pensato che qualcuno, da Lassù, ci abbia benedetto. Ancora oggi
non sappiamo con certezza se tra le vittime c’è qualche collega”.
E i figli? Questo il primo pensiero di Cristina e Marco:
come andarli a prendere, visto che il Governo intimava a tutti di non muoversi?.
“Abbiamo la fortuna di avere il nido sotto casa e la scuola materna a 5 minuti
a piedi, ma abbiamo deciso che sarebbe stato meglio per i bambini continuare con
la loro vita quotidiana senza turbamenti, dato che siamo certi della sicurezza
delle nostre scuole. Il direttore ci ha inviato diverse mail nel corso della
mattinata per informarci sulla situazione e questo ci confortava ulteriormente:
la giornata dei bambini si stava svolgendo regolarmente, erano all’oscuro di
tutto quanto stesse accadendo fuori. Molte scuole hanno optato per la chiusura
totale e hanno quindi negato ai genitori la possibilità di andare a prendere i figli,
creando spesso problemi fuori dai cancelli, dove si ammassavano famiglie
agitate e nervose. Nella nostra scuola si è deciso di seguire meno alla lettera
le richieste del Governo e so che parecchi genitori sono andati a prendere i
bambini prima dell’orario di uscita e i piccoli sono stati accompagnati fuori.
Il livello di sicurezza a scuola è stato adattato alle circostanze: innanzitutto
una sola porta per l’entrata e uscita che viene controllata sempre da due
responsabili (che davvero hanno una memoria visiva invidiabile)”.
Ma il clima del terrore si respirava già prima del 22 marzo.
“Non possiamo negare che già da novembre, dopo i fatti di Parigi, molte cose sono cambiate - prosegue la
coppia - Abbiamo passato diverse giornate di lockdown (in massima sicurezza): città
completamente paralizzata, senza mezzi e con militari ovunque. Andare al lavoro
e trovarsi cingolati e camion militari davanti all’ufficio non è stato
piacevole. Piano piano i militari sono rimasti solo nelle zone più sensibili,
ma come temevamo e come purtroppo abbiamo visto martedì 22, la loro presenza
non può fermare certi gesti folli. Inevitabilmente fa paura andare in centro,
prendere la metro o assistere a un concerto. Abbiamo cercato di continuare a
vivere normalmente fino a qui. Ora al clima di paura si aggiunge anche una
certa sfiducia nel lavoro dell’intelligence e dei servizi di sicurezza. Negli
ultimi giorni si sono susseguiti blitz in ogni parte della città, anche nei
quartieri più residenziali e questo certamente non aiuta a stare sereni. Ancora
è presto per poter dire come reagiremo. Ci godiamo qualche giorno in Italia e
poi torneremo e affronteremo paure e ansie e soprattutto cercheremo di non
trasmetterle ai bambini, che hanno il diritto di vivere una vita serena e libera”,
concludono Cristina e Marco.
Enrica Bertone
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